Agosto è il mese della grande marcia milanese. Il 6 agosto abbiamo celebrato i 25 anni della vittoria mondiale a Goteborg di Michele Didoni. Giovedì 20 agosto brinderemo invece ai 16 anni della vittoria di Ivano Brugnetti nella 20 km delle Olimpiadi di Atene. Se quei successi sono ancora molto vivi nella memoria sportiva (come Fidal Milano celebrammo il 20° anniversario della vittoria di Didoni) e Ivano e Michele sono ancora presenti nel nostro mondo (si parla addirittura di un imminente rientro come allenatore per Didoni), più lontano nel tempo e nella memoria è invece il ricordo di Ugo Frigerio, il milanese che conquistò il primo oro olimpico nella storia dell'atletica italiana.
Il suo nome è ancora ben noto nel mondo della marcia, c'è un Trofeo in suo onore che da 51 anni ne tiene vivo il ricordo. Ricordiamoci allora che oggi, martedì 18 agosto, esattamente 100 anni fa però, ai Giochi Olimpici di Anversa il milanese conquistò il suo primo dei tre ori olimpici (e un bronzo). E' un anniversario importante, e lo riviviamo attraverso il racconto di quella vittoria pubblicato sul sito del Comitato olimpico italiano. Buona lettura.
E’ il marciatore fanciullo che voleva diventare uomo. Il 18 agosto del 1920, Ugo Frigerio, al termine di una gara straordinaria, conquistò il titolo olimpico della marcia sulla distanza dei 10 km. A meno di un mese dal suo diciannovesimo compleanno, l’atleta milanese vinse il primo oro nella storia dell’atletica italiana. Otto anni prima a Stoccolma, invece, Ferdinando Altimani, nella stessa gara, si era aggiudicato la medaglia di bronzo, preceduto dal canadese George Goulding e dal britannico Ernie Webb mentre nel 1908 a Londra Emilio Lunghi aveva conquistato l’argento negli 800 metri.
Una passione, quella per a marcia, nata quasi per caso. Frigerio, all’età di sedici anni, dopo aver visto alcuni marciatori allenarsi - tra cui proprio lo stesso Altimani - lungo i viali di un parco civico a Milano, si iscrisse all’Unione Sportiva Milanese. Nel 1918, alla sua prima gara, centrò la vittoria; mentre, l’anno successivo, vinse il suo primo titolo italiano che conservò ininterrottamente fino al 1924, per poi riprenderselo nel 1931. Abbandonò prematuramente gli studi, per lavorare come apprendista tipografo, una professione che lo condusse, successivamente, alla Gazzetta dello Sport.
Insieme ad Altimani e a Donato Pavesi, fu uno dei precursori della scuola di marcia, che culminò con lo straordinario successo di Anversa ai Giochi della VII Olimpiade. Il Kielstadion fece da cornice alla due giorni di gare. Il 17 agosto si disputarono le due batterie di qualificazione, con 23 atleti iscritti in rappresentanza di 13 paesi. Nella prima, s’impose nettamente Frigerio che staccò di quasi 24 secondi lo statunitense Joe Pearman. Seguirono l’australiano George Parker, il compagno di squadra Pavesi, il britannico Charlie Gunn e il belga Jean Seghers. Nell’altra batteria, quindi, la vittoria andò al britannico William Hehir, con un tempo decisamente inferiore a quello dell’azzurro: 51’38”8 contro 47’06”4.
Il giorno successivo, in uno stadio quasi deserto, Frigerio, reduce da una batteria di alto livello, da outsider entrò decisamente nel novero dei favoriti. In finale, prima con una tattica attendista e poi con un ritmo soffocante, fece la differenza. Al nono giro raggiunse Pearman e nel successivo lo superò, involandosi in solitaria verso il traguardo con il tempo di 48’06”2 e chiudendo con almeno 250 metri di vantaggio sull’avversario. Una gara strepitosa, di temperamento e dallo stile impeccabile nei movimenti.
All’arrivo, prima dell’abbraccio con il suo allenatore, gridò: “Viva l’Italia!”. Quel leitmotiv che amava urlare al termine di ogni gara e che divenne uno dei suoi tratti distintivi. La medaglia di bronzo fu ad appannaggio di Gunn, mentre Pavesi fu squalificato. Un successo che il campione olimpico di Londra 1908, George Edward Lanner, celebrò con parole di magnificenza: “Come marcia questo bruno italiano, così meraviglioso anche per la sua giovane età. Non ho mai visto nella mia lunga carriera un marciatore dallo stille impeccabile come il suo. E’ un reale godimento vederlo lasciare gli avversari con grande facilità, senza alterare minimamente il proprio stile”.
Il fanciullo di Anversa era diventato uomo.
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