Secondo appuntamento con la nostra nuova rubrica che vuol far conoscere la storia "da atleta" di alcuni degli allenatori e allenatrici che incontriamo sui nostri campi di gara. Sapete quanti e quali campioni continuano a dedicarsi all'atletica, a far crescere i più giovani mettendosi a disposizione della passione e del talento dei nostri atleti? "Scopri il coach" è il posto dove raccontare e "far raccontare" gli allenatori dell'atletica milanese: una breve scheda personale e poi a loro la parola! Ci saranno grandi scoperte da fare. Oggi conosciamo Magda Maiocchi. Buona lettura.
(Invitiamo tutte le società milanesi a segnalarci i loro allenatori dal passato "glorioso":
Magda Maiocchi, 57 anni, è allenatrice dell'@tletica Meda 014. Prima di diventare allenatrice, Magda si è divisa tra i 400 hs e gli 800 metri. Ha praticato atletica tra il 1976 e il 1990. Cresciuta nella (fu) Atletica Mediolani, ha però svolto la sua carriera da professionista nella maglia della Fiat Sud Formia. Ha iniziato dedicandosi ai 400 hs (1:00.19, 1/5/1985), specialità che l'ha vista debuttare nella nazionale maggiore in un incontro internazionale a Nova Gorica (Slovenia). E' però negli 800 metri che ha ottenuto i suoi risultati più importanti. E' stata la numero uno in Italia nelle stagioni 1987 e 1989, ha stabilito un primato personale di 2:02.12 (18° prestazione italiana all time) in occasione della Coppa Europa (First League) di Strasburgo il 5 agosto 1989. E' stata campionessa italiana indoor nel 1987 con 2:06.18. E' stata per vent'anni primatista italiana dei 500 metri indoor con 1:14.1 (Genova, 1987). Nei 400 metri ha registrato un personale di 54:67 (Cesenatico, 26/6/1986). Ha vestito la maglia della nazionale assoluta per 6 volte, perdendo i Campionati Mondiali di Roma 1987 per un infortunio (era già stata convocata). Nel corso della sua carriera è stata allenata da Cesare Manzotti e Giorgio Rondelli. Laureata in biologia, è giornalista professionista e scrive per la rivista Runner's World. Nata e cresciuta a Milano, oggi vive in Brianza.
1. Come e perché hai iniziato a fare atletica?
Tutta colpa di una corsa “a panchine”. Avevo 13 anni e durante una vacanza organizzata per ragazzi partecipai a una sorta di mini olimpiade che comprendeva una corsa ad ostacoli, dove gli ostacoli erano appunto delle panchine. Non so bene come, ma la vinsi. E fu un po’ come un segno del destino. Quando tornata a casa, i miei genitori mi chiesero che sport volessi fare l’anno seguente, indovinate cosa risposi?
2. Come e quando hai scoperto la tua specialità?
Considero la mia specialità gli 800 metri, perché sono la distanza dove mi sono espressa meglio in assoluto. Purtroppo l’ho scoperta solo dopo aver passato anni e anni a correre i 400 hs, una gara preziosa per i Campionati di società, ma per la quale, onestamente, ero negata. Quando mi stufai di pasticciare tra le barriere, di andare a sbattere e cadere, avevo ormai ormai 24 anni. Passai a preparare gli 800 metri e già al primo anno, nel 1986 feci 2:02’, miglior prestazioni italiana stagionale. Come si dice: l’avessi saputo prima!
3. Qual è la gara a cui sei più affezionata?
Una finale dei campionati di società di prove multiple a Bressanone. Al mio club, la Fiat Sud Formia, serviva un’atleta per completare la squadra per quei Campionati e un po’ per scherzo il mio presidente di allora, Elio Papponetti, mi chiese se per caso non fossi disponibile. Io, un po’ incosciente, un po’ attratta dalla novità, dissi di sì. Da ragazzina avevo gareggiato un po’ in tutte le gare, l’unica prova che mi spaventava, e per la quale cercai di prepararmi in tempo record, erano i 100 hs. Ho ancora delle foto incredibili delle mie performance nell’occasione, tipo una in cui lancio il giavellotto mentre invece di piantarmi sono a 30 centimetri da terra…. Ma mi divertii tantissimo, scoprii un mondo straordinario, quello delle prove multiple, e vinsi gli 800. E come squadra non ci piazzammo neanche tanto male! Se nasco un’altra volta, mi do all’eptathlon!
4. Cosa ti ha insegnato e lasciato l’atletica?
Soprattutto la forma mentis, il dare sempre il 110% nelle cose che si fanno. È quella famosa marcia in più che anche nel mondo del lavoro viene riconosciuta a chi è stato un atleta. L’atletica t’insegna a cercare di superare i tuoi limiti, a spingere l’asticella sempre un po’ più in là. Un’abitudine che si acquisisce in pista ma che si conserva per tutta la vita. E poi, importantissima, la voglia di correre. Quella c’è sempre.
5. È stato difficile smettere con le gare e l’agonismo?
I cambiamenti non sono mai facili, soprattutto quando in un’attività si è arrivati al top e si tratta in qualche modo di scendere dal piedistallo. Nel mio caso il passaggio è stato però abbastanza “fisiologico”, avevo ormai una certa età e continuavo ad avere problemi con i tendini. Inoltre, avevo cominciato un’attività lavorativa, quella di giornalista, che mi attraeva e alla quale sentivo di voler dedicare il mio tempo. Aver preparato per tempo l’opzione B mi ha sicuramente aiutata.
6. Quando e perché hai scelto di diventare un’allenatrice?
In realtà, come molti ragazzi che frequentano i campi di atletica, già ai tempi delle scuole superiori per “arrotondare” avevo cominciato ad allenare i piccoli della mia società di allora, la Mediolani, e avevo frequentato il corso per istruttore Fidal. Smisi quando entrai in Nazionale e gli allenamenti cominciarono ad assorbirmi sempre più tempo. Poi, una decina d’anni fa, uno dei miei figli ha deciso di fare atletica. Beh, non so bene come, ma è stato un attimo essere nuovamente coinvolta e trovarmi ad allenare i “piccolini”. Non senza, però, ripetere il corso d’istruttore: l’esperienza conta, ma restare aggiornati non fa mai male.
7. Cosa ti piace nell’essere un allenatore?
Riuscire a seminare passione e carica. Il risultato in gara per me è relativo. Mi piace se riesco a portare un ragazzo a finire un allenamento che non credeva di poter finire, o se riesco a insegnargli a fare qualcosa di nuovo. Sono convinta che il ruolo di allenatore nel settore giovanile sia costruire l’atleta del futuro, che sia più importante insegnargli a usare bene i piedi, a non mollare quando avverte la fatica, a vivere positivamente l’atletica, che non farlo salire sul podio. Solo così, con i giusti tempi, potrà arrivare a esprimere tutto il suo potenziale, riuscirà a migliorarsi anno dopo anno e, si spera, non sceglierà di abbandonare l’atletica perché demotivato dai risultati che latitano o perché vittima di troppa pressione.
8. Cosa insegni per prima cosa ai tuoi atleti?
Che se uno ha un sogno deve inseguirlo. Io ho cominciato ad ottener qualche risultato solo da junior. Prima sono sempre stata una “scarsina”, le mie prestazioni non erano nemmeno lontanamente all’altezza di quelle ottenute dalle atlete forti della mia categoria. Poi però negli anni sono migliorata sempre di più, ho iniziato a togliermi certe soddisfazioni e sono arrivata a ottenere risultati di livello assoluto. Diciamo che sono la prova vivente che nell’atletica il talento non è tutto e che, con l’allenamento, si può andare molto, molto lontano.
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