Domani, mercoledì 6 agosto, sarà una giornata da ricordare per l’atletica milanese. Esattamente 20 anni fa in Svezia, a Goteborg, un giovanissimo Michele Didoni da Quarto Oggiaro, ad appena 21 anni conquistava la vittoria nella 20 km marcia dei Campionati Mondiali di atletica (l'arrivo nella foto a destra). Una vittoria unica e speciale, costruita tutta a Milano, all’interno della Nuova Atletica Astro (anche se già allora Didoni indossava la maglia dei Carabinieri) e dei programmi di quel genio di Pietro Pastorini.
La vittoria è già stata celebrata nella sua città un mese fa, con unafesta a sorpresa che ha riunito al Comitato provinciale Fidal tanti campioni di ieri e di oggi (vedi foto sotto). Il calendario dell’anniversario mal si pone per feste in casa, infatti Michele ci risponde al telefono dalla Sardegna dove sta trascorrendo le vacanze con la famiglia.
«Dopo 20 anni ricordo ancora tutto molto bene di quei giorni – racconta Michele – e dopo 20 anni sono rimasti solo ricordi positivi». Prima, durante, dopo: ricostruiamo quell’agosto del 1995.
«Prima della gara avevo avuto qualche problema muscolare ma avevo deciso di partecipare lo stesso. Io sono sempre stato lontano dalla mentalità del campione, per me era più importante partecipare che vincere. Io ero in una pacata tranquillità, l’unico che ci sperava era Pastorini». A 21 anni, benché avesse già vinto l’europeo juniores e giunto 10° agli Europei dell’anno prima, non era così facile fare i conti con la propria condizione. Michele però assicura di aver sempre avuto un “ottimo limitatore”, quella capacità di basare il proprio lavoro sulle sensazioni che il corpo manda. Due episodi a testimonianza di questa dote.
«Due giorni prima della gara Sandro Damilano ci fece fare un lavoro non lungo ma tutto di variazioni. Non me la sentivo e ho camminato tutto il tempo. Dissi a Sandro che dopodomani gli avrei fatto vedere quel che valevo. Facemmo anche una scommessa: se fossi andato bene lui per un po’ di tempo non avrebbe più bevuto il suo amaro dopo pasto. Beh, perse e pagò la scommessa». Poi la sera prima della gara mondiale uscì dall’albergo con un compagno di nazionale per andarsi a mangiare una vera bistecca: «non è che fossi nervoso, era proprio fame!».
Il giorno dopo, domenica 6 agosto 1995, alle ore 14 prende il via la gara dei 20 km di marcia. Russi, spagnoli, Giovanni De Benedictis: i favoriti sono altri. «Per come mi sentivo e per come vedevo gli avversari ho capito che me la giocavo. Non ho fatto gara di testa, ero lì nel secondo gruppo. Poi tra il 16° e il 17° km li vedevo davanti e ho deciso: perché non provarci? Non ero fresco, ero comunque al limite, ma in quelle situazioni basta poco: un applauso, una voce e scatti. Io ricordo l’incitamento di Alessandro Mistretta e del gruppo del Trofeo Frigerio, e sono partito. E’ il gruppo che crea energia».
Di lì parte la cavalcata trionfale di Michele che si conclude solo dopo il traguardo all’interno dello stadio Ullevi, con il tempo di 1:19.59. E’ l’apoteosi. Tricolori, flash, microfoni, il podio e l’inno nazionale. E’ tutto così grande, all’improvviso. Michele prova a non perdere la testa. «Dopo la medaglia e il podio me ne sono andato e sono stato da solo per pensare a tutto quello che avevo fatto. Avevo bisogno di un attimo del mio spazio». Se tutto ora è gigantesco lui però resta il piccolo Michele, quello che, incrociato da un compagno di nazionale, risponde pacato all’inevitabile domanda sul risultato della gara: «beh abbastanza bene» e solo per l’insistenza dell’amico per avere più dettagli, tira fuori dalla tasca la medaglia che spiega tutto senza parole.
Il titolo mondiale proietta Michele Didoni nel mondo dei “campioni” cui tocca, tra le tante cose, anche avere rapporti con la stampa. «A Goteborg ho capito il giornalismo sportivo e mi sono tanto innervosito. Un esempio. Una giornalista di Repubblica mi chiede per cosa voto. Io rispondo che sono apartitico ma che la mia è una famiglia operaia. Il giorno dopo c’era scritto: Michele Didoni il comunista che marcia». Facile immaginare che il suo gruppo militare gli abbia poi chiesto qualche spiegazione…
Il campione Didoni poi però non torna più ai fasti svedesi. Due podi ai Giochi del Mediterraneo, due Olimpiadi, sempre tra i primi ma non più primo. «Non mi sono mai trovato bene nel gioco del campione. Per me il campione è chi ha doti oltre. Puoi essere bravo a marciare per un certo periodo, ma non devi mai dimenticare che ci sono cose più importanti. I veri campioni sono quelli che non vengono mai nominati ma che aiutano gli altri tutti i giorni». C'entra forse in questo l'insegnanmento del padre Luigi, una vita da infermiere all'ospedale Niguarda?
Così oggi, a 20 anni di distanza, né rimpianti né rimorsi per quel 6 agosto e per quel che è successo dopo. “Della gara di Goteborg sono rimaste solo cose positive. L’unica cosa negativa, in tutta questa storia, è che non è passato il mio pensiero che, quando sei in pantaloncini, l’importante è fare il meglio ed essere convinti del percorso fatto”. Tutto qui. Chissà che un giorno Michele non torni a insegnarlo anche ad altri.
DAVI.VIGA.