Ancora una puntata dellla nostra rubrica "Scopri il coach", per conoscere le storie "da atleti" di alcuni degli allenatori e allenatrici che incontriamo sui campi di gara. Oggi andiamo a scoprire il passato di Arnaldo Anibaldi. Buona lettura.
(Invitiamo tutte le società milanesi a segnalarci i loro allenatori dal passato "glorioso":
Arnaldo Anibaldi, 47 anni, è un ex mezzofondista della Pro Patria Milano e poi dell'Atletica Riccardi Milano. Da tre anni allena il gruppo di giovani del CUS Pro Patria Milano presso il Centro Sportivo Saini di Milano, mentre prima ha allenato all'Atleticrals2-Teatro La scala. Da atleta è stato specialista del mezzofondo. Campione Italiano junior nei 3000 metri nel 1992, ha indossato la maglia azzurra nel triangolare under 20 Ita-GB-CSI. Frenato da un'operazione al tendine e dagli impegni di studio, ha chiuso con l'atletica nel 1996. Ha avuto come allenatori Ugo Grassia e poi Giorgio Rondelli. Laureato all'Isef e poi in Fisioterapia, ha abbandonato la carriera scolastica a favore di quella di terapista. I suoi primati personali: 3000 metri: 8:16, 5000: 14:20, 1500: 3:53.
1. Come e perché hai iniziato a fare atletica?
Quando frequentavo le elementari mi è spesso capitato di partecipare alle gare scolastiche e, pur non essendo tesserato, le vincevo praticamente tutte battendo persino i ragazzi iscritti alle varie società. All’età di dodici anni mia sorella Rosa, atleta della Pro Sesto, decise di farmi partecipare alla 5 Mulini dove conquistai il 6° posto piazzandomi davanti ai ragazzi della Pro Patria. Alla fine della gara gli allenatori di questa gloriosa società, nonché amici di mia sorella, le dissero di portarmi al campo. E così iniziai ad allenarmi.
2. Come e quando hai scoperto la tua specialità?
Avendo come idolo Francesco Panetta e militando nella medesima società (ricordo con grande entusiasmo le partenze dal campo insieme a tutti i big: Cova, lo stesso Panetta, De Madonna, Bernardini, etc) decisi di affacciarmi da subito alle siepi. Questa esperienza si rivelò ricca di successi sia nella categoria ragazzi nei 1200 siepi sia nella categoria allievi nei 1500 siepi. Passando nella categoria juniores mi resi conto che i 3000 siepi erano tutt’altra gara e, non essendo particolarmente tecnico nel passaggio degli ostacoli, “pagavo” molto cosicché decisi di buttarmi sulle distanze piane. La mia specialità divenne quindi i 3000 metri, perché i 1500 erano troppo veloci per le mie caratteristiche tecniche e i 5000 non li reggevo a livello mentale.
3. Qual è la gara a cui sei più affezionata?
Le gare a cui sono particolarmente affezionato sono tre: la conquista del titolo italiano junior (1992), il Vivicittà, gara di 12 km su strada del 1996 e il Campionato regionale del 1989. Nella gara del Vivicittà arrivai 2° a Milano dietro a Mauro Pregnolato (grande specialista dei 3000 siepi) e mi sento profondamente legato proprio per il tempo stabilito: 35:38 compensato, quindi a meno di 3′ al Km. Mentre nel Campionato Regionale, al primo anno allievi, vinsi i 1500 siepi con un tempo che mi valse la convocazione al Club Italia Nazionale gestito da Sara Simeoni per due anni.
4. Cosa ti ha insegnato e lasciato l’atletica?
L’atletica per molti anni è stata parte integrante della mia vita quotidiana. Nonostante i tanti sacrifici che ho dovuto fare, in un’età in cui si è più inclini a guardare verso il divertimento piuttosto che alle privazioni, sono fiero e felice di tutte le scelte intraprese. Ho sempre consapevolmente e volutamente messo davanti l’atletica alle varie distrazioni. Cosa mi ha lasciato l’atletica? Spirito di sacrificio e di sofferenza, dedizione e tanta passione.
5. È stato difficile smettere con le gare e l’agonismo?
Ho smesso di fare atletica molto presto. Ricordo che l’ultimo periodo è stato particolarmente duro, non riuscivo più a terminare un “lavoro”. Continuavo a fermarmi durante gli allenamenti: credo non li reggessi più a livello psicologico. Dal momento che questa situazione continuava a protrarsi, in accordo con il mio allenatore Giorgio Rondelli decisi di fermarmi per qualche mese. Non ripresi più. Questa mia scelta penso sia stata dettata da diversi fattori, tra cui l’operazione al tendine, l’iscrizione all’ISEF e la necessità di cominciare a lavorare. Alla luce di tutto ciò, mi sento di dire che è stato abbastanza difficile smettere anche se l’aver mollato mi ha fatto scoprire che oltre all’atletica, c’era anche un altro mondo.
6. Quando e perché hai scelto di diventare un allenatore?
Ho deciso di diventare allenatore grazie a mia figlia Giorgia. Portandola al campo mi resi conto che l’allenatore, dovendo seguire parecchi atleti, non riusciva a gestire i piccolini. Per questo motivo ho voluto aiutarlo e il piccolo gruppo che allenavo, con il passare del tempo, è diventato sempre più numeroso. Questo mi ha fatto capire che la strada da intraprendere era lì a portata di mano: mettere a disposizione dei miei ragazzi tutte le mie conoscenze ed esperienze.
7. Cosa ti piace nell’essere un allenatore?
Mi piace molto stare “sul campo” con i miei atleti, perché adoro riassaporare quelle sensazioni che hanno riempito la mia vita per parecchi anni e che ora, grazie a loro, rivivo sotto un’altra prospettiva. Vorrei aggiungere che durante questo difficile periodo il “lavoro” che più mi è mancato è stato proprio quello dell’allenatore.
8. Cosa insegni per prima cosa ai tuoi atleti?
Una tra le varie cose che insegno ai miei atleti è di stringere sempre la mano agli avversari alla fine di ogni gara. Sebbene mi ritenga un allenatore particolarmente esigente, non dimentico mai che lo sport deve avere una base di divertimento. E poi che… soprattutto ai ragazzi di oggi, che non hanno particolarmente voglia di soffrire come era per noi, spiego sempre che il talento da solo non basta e che per raggiungere certi risultati e sogni ci vuole impegno, costanza e sacrificio quotidiano.
Anibaldi guida il gruppo del Vivicittà 1995: si riconoscono Luca Barzaghi (1), Paolo Donati (2), Dario Rognoni (davanti a Barzaghi)
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