Quando il 18 ottobre 1968 l’alto e dinoccolato statunitense di colore Bob Beamon saltò m.8,90 al primo tentativo nella finale dei Giochi Olimpici di Città del Messico, demolendo il precedente record mondiale di m.8,35 detenuto dal connazionale Ralph Boston e dal russo Igor Ter-Ovanesian, i cronisti dell’epoca scrissero che aveva saltato nel “XXI Secolo“; ed oggettivamente non c’era da dare loro torto, se non fosse stato che…
Eh sì, come potevano sapere gli addetti ai lavori (atleti, tecnici o giornalisti che fossero…) che in Alabama era già venuto al mondo poco più di sette anni prima – il 1 luglio 1961, per la precisione – un ragazzino di nome Carl Lewis, il cui principale obiettivo della vita di atleta sarà quello di superare, un giorno, quello straordinario primato, e ben in anticipo sulla previsione dei critici. Lewis, che sarà poi soprannominato il “figlio del vento” per le sue eccellenti doti di sprinter, accomuna alla velocità di base anche un’eccellente tecnica di salto, salendo alla ribalta internazionale ad inizio anni Ottanta vincendo ogni gara a cui partecipa nelle due prime edizioni dei Campionati del Mondo (1983 ed 1987) e dei Giochi Olimpici di Los Angeles 1984 e Seul 1988, salvo subire, in questi ultimi, una sorprendente sconfitta dal connazionale e compagno di club al Santa Monica Joe de Loach sui 200 metri piani, peraltro corsi in 19″79, sua miglior prestazione di sempre.
Dopo Seul, il successivo impegno sono i Mondiali di Tokyo 1991, dove Lewis si presenta al massimo della forma, come dimostrato dal record mondiale sui 100 metri stabilito il 25 agosto in 9″86, precedendo i connazionali Leroy Burrell (detentore del primato) e Dennis Mitchell, per una tripletta USA che tutti pronosticano anche per la finale del salto in lungo che andrà in scena il 30 agosto.
Difatti, alle Olimpiadi di Seul di tre anni prima, il podio era stato interamente a stelle-e-strisce, con Lewis primo con m.8,72, Mike Powell – di due anni più giovane – secondo con m.8,49 ed il “vecchio” Larry Myricks bronzo con m.8,27 e non vi erano soverchi dubbi a pronosticare un analogo risultato anche in terra nipponica, l’unico pericolo, se così si può definire, derivante dal tedesco Haaf, in buono stato di forma. E, difatti, anche le qualificazioni della vigilia avevano confermato tale stato di cose, con Lewis in testa con m.8,56 e gli altri due americani Powell e Myricks anch’essi agevolmente qualificati con m.8,20 e m.8,19 dietro al terzo incomodo Haaf, planato a m.8,21.
Ben pochi avrebbero comunque pensato che l’oro potesse sfuggire ad un Lewis in così splendide condizioni, anche se Powell era un avversario da non sottovalutare, avendo ceduto al rivale ai campionati americani svoltisi nel corso dell’anno e validi come “Trials” per i Mondiali di un solo centimetro – m.8,64 a m.8,63 – ma se vi erano dei dubbi al riguardo, ci pensò il “figlio del vento” a fugarli, piazzando un m.8,68 al primo tentativo e, dopo un nullo, addirittura un m.8,83 al terzo salto, che avrebbe abbattuto il morale di chiunque, non solo di Powell che, al secondo salto, era comunque arrivato ad un ragguardevole m.8,54, con Haaf terzo a m.8,22 e Myricks quarto a m.8,20: tutto il resto spettatori non paganti.
Con l’inizio dei tre salti di finale, anche il calmo e compassato pubblico giapponese ebbe modo di entusiasmarsi per il susseguirsi di emozioni che mai né prima né dopo di allora, una gara di lungo abbia mai offerto. Dopo che Myricks si era riappropriato del gradino più basso del podio con un salto di m.8,41 al quarto tentativo (poi leggermente migliorato a m.8,42 alla quinta prova), Powell piazza al suo primo salto di finale un balzo lunghissimo reso vano da un “nullo” di pedana millimetrico, che testimonia la volontà di Mike di non arrendersi, sentendo nell’aria che quello potrebbe essere il suo “Giorno dei Giorni”, non riuscendo a perdere la concentrazione neppure quando Lewis incrementa la sua posizione di leader provvisorio con un balzo a m.8,91 che sarebbe il nuovo record del mondo se un vento di m.2,9 al secondo non rendesse la misura non omologabile, seppur valida per la gara.
Come abbia fatto Powell in quel frangente a non perdere lucidità e concentrazione di fronte all’exploit del compagno/rivale non è dato lecito a sapersi, fatto sta che con una rincorsa ed uno stacco perfetto atterra lunghissimo dando a tutti, Lewis compreso, l’impressione di aver compiuto un’impresa, confermata dal responso dei giudici e dalla misura che appare sul tabellone elettronico: m.8,95 WR con un vento nella norma e, pertanto, record di Beamon cancellato a distanza di 23 anni!
Powell impazzisce di gioia, incomincia a correre sulla pista ebbro di felicità e solo dopo alcuni secondi realizza che la gara non è terminata, in quanto un “certo” Carl Lewis ha ancora due salti a disposizione. E, mentre il salto di Beamon a Città del Messico aveva psicologicamente distrutto i suoi avversari, Lewis non vuole arrendersi a vedersi sfuggire sotto il naso l’oro mondiale nella miglior gara della sua vita, e replica con un salto molto vicino alla “fettuccia” del record, facendo tirare un sospiro di sollievo a Powell non appena appare la misura di “soli” m. 8,87. Lewis ha ancora a disposizione un ultimo salto e, mentre gli altri sette finalisti completano la loro fatica e Powell, ormai scarico, commette un “nullo” di battuta, tutto lo stadio di Tokyo ha gli occhi puntati sul “figlio del vento” che sta ripassando mentalmente i passi della rincorsa e lo stile di salto per poter far sua la gara.
Carl abbassa la testa, prende una rincorsa veloce come suo solito, lo stacco è buono e così pure l’atterraggio, anche se ad occhio nudo non sembra poter aver ribaltato la situazione; quando il tabellone indica la misura di m.8,84, Powell può finalmente realizzare di aver compiuto la doppia impresa di aver inflitto a Lewis la sua unica sconfitta della carriera in finali di Mondiali e/o Olimpiadi nel salto in lungo ed aver detronizzato Beamon dal vertice assoluto. A Lewis non resta che l’amarezza di non aver centrato né l’oro né il record mondiale nella sua miglior gara di sempre con cinque salti validi tra m.8,91 e m.8,68 per un’inimmaginabile media di m.8,83 a tentativo!! Avrà poi modo di rifarsi vincendo l’oro olimpico anche a Barcellona 1992 e ad Atlanta 1996, unico atleta – assieme al discobolo Al Oerter – a salire per quattro volte consecutive sul più alto gradino del podio in una singola specialità. Ma crediamo che quella finale di Tokyo resterà per sempre impressa nella sua mente.
GIOVANNI MANENTI
Seguite le fasi salienti della gara tramite il seguente link:https://www.youtube.com/watch?v=YzAPv_PszG8
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