Alzi la mano chi, nella vita, non avrebbe voluto essere, o almeno somigliare, a Edwin Moses, il più grande 400metrista a ostacoli della storia dell’atletica: colto e intelligente (due lauree, in fisica e ingegneria), imbattibile (corse 122 gare in 10 anni, dal 1977 al 1987, senza mai perdere), innovatore (il primo a fare solo tredici passi tra un ostacolo e l’altro), impegnato nella lotta al doping, ideatore di un fondo fiduciario statale a favore degli atleti; e, soprattutto, autore di ben quattro record del mondo. Di cui uno, in una serata di magia, all’Arena di Milano, proprio il 3 luglio di 26 anni fa.
EDWIN MOSES, L’INGEGNER IMBATTIBILE
L’aveva organizzata la Pro Patria quella “Notturna” milanese in cui un motivatissimo Moses batté il record del mondo dei 400 ostacoli. Mancava più di un mese alla Olimpiade di Mosca 80, cui l’atleta nato a Dayton, nell’Ohio, il 31 agosto 1955, non parteciperà a causa del boicottaggio statunitense. Si rifarà con gli interessi non solo a Milano, ma ovunque. Vincitore giovanissimo del titolo olimpico nel ‘76 (con il suo primo record mondiale, 47.63), Moses sarà il protagonista di una carriera che, se si pensa al tipo di disciplina così incline agli acciacchi, ha dell’incredibile: 5 volte campione del mondo (4 addirittura di fila), due volte oro olimpico (oltre a Montreal nel 76, anche a Los Angeles nell’84) e bronzo, ormai trentatreenne, a Seul 88. Solo il 4 giugno 1987, dopo 9 anni, 9 mesi e 9 giorni di imbattibilità, subirà la prima sconfitta; in questo lasso di tempo abbatterà per ben 4 volte il record del mondo, arrivando a fermare il cronometro, il 31 agosto 83 a Coblenza, a 47.02 secondi. Un tempo che fino al 56 gli sarebbe valso un podio olimpico nei 400 piani.
Nel resoconto che redasse Elio Trifari per la Gazzetta dello Sport il 4 luglio, occhio ai nomi dei partecipanti alla notturna: oltre a Moses, Mennea, Simeoni e un giovane “lunghista” che diventerà celebre, anzi celeberrimo, e non solo nel lungo!
“La vecchia Arena comincia a prendere gusto ai record del mondo. Ne aveva totalizzati undici, allorché, sette anni fa, Marcello Fiasconaro infiammò una tranquilla serata di fine giugno con la sua galoppata sugli 800 metri. Poi, d’un colpo, più niente per sette anni: e ora, nello spazio di meno di due mesi, dal volo di Koziakievicz nell’asta alla “Pasqua” fino alla superba impresa disegnata da Ed Moses sullo spelacchiato tartan ieri sera nel corso della Notturna Pro Patria, confortata dal pubblico (18.000 spettatori, 14.731 i paganti per un incasso di 55 milioni 551.500 lire), spettacolo, prestazioni.
Alla vigilia avevamo indicato in quattro gare i punto focali dello spettacolo allestito da Mastropasqua e dalla sua équipe: e fra questi consigliavamo la sfida tra i primatisti del mondo Moses e il tedesco ovest Schmid. Un confronto che, in effetti, non c’è stato. Convinto in extremis ad accettare il duello, Moses, inserito nel sorteggio all’esterno del rivale, ha deciso di non correre rischi, ed ha impostato una gara d’assalto. E allora s’è visto il miracolo che solo la classe consente: un felino è balzato dai blocchi, danzando i ritmi fra le barriere che solo lui, l’ingegnere americano di Dayton, Ohio, 25 anni, sa seguire e dettare su questa distanza. Moses ha distrutto Schmid dopo tre barriere: con quel suo passo che sembra accarezzare l’ostacolo, sicché non ne riesci neppure a scorgere il passaggio, è planato giù dalla quinta barriera in 20”9, e quando ti attendevo magari (come nella Coppa del Mondo dello scorso anno) che mostrasse in rettilineo, il segno della fatica, eccolo ripartire superbo, annichilire avversari e pubblico, chiudere in 47”13, 32 centesimi di progresso – un balzo enorme – rispetto al suo stesso primato stabilito tre anni fa, un anticipo della prima gara sulle barriere al di sotto dei 47 secondi, un tempo che costituisce ancor oggi un buon esempio per un onesto specialista italiano della distanza piana.
Moses ha illuminato la Notturna con i lampi neri della sua classe, con le movenze feline della sua azione ritmata con i suoi 13 passi fermamente mantenuti fra ostacolo e ostacolo; altri grandi protagonisti hanno offerto risultanze inferiori alle attese, come può accadere quando desideri e interpreti faticano ad incontrarsi.
Così chi si attendeva i diavoli volanti dell’alto s’è dovuto accontentare d’ammirare solo Wszola, unico a superare i 2.23, mentre Moegenburg esibiva con la stessa serena insolenza dei giovani la sua abbronzatura spagnola e le sue incertezze in rincorsa, mentre nell’élite sopravvissuta ai 2,23, s’era ritrovato, ancora il più regolare dei nostri, Massimo Di Giorgio.
Chi sperava che la Simeoni, stimolata da un trio di avversarie che rappresentava mezza Olimpiade ideale, potesse librarsi alle quote magiche del suo primato del mondo, ha dovuto accontentarsi di un successo maturato in meno di un’ora, con soli tre salti (1.80 – 1.85 – 1.90), per poi vedersi danneggiata dal vento la rincorsa all’assalto solitario degli 1.95. Sparite Matay, Brill e Holzafel (alla cui quota s’è rivista la Bulfoni), Sara ha trovato la giusta dose di rabbia per volare al di là solo nella prova extra che i giudici le hanno concesso. Nelle precedenti, la sua rincorsa appariva mal calibrata dai capricci della brezza che soffiava contro di lei, o troppo sotto, o troppo distante dal regolo finiva per risultare il suo stacco.
Quando Mennea, Pietro, s’era concesso un assaggio nella 4x100, ed era parsa la sua volatina svogliata, al termine di tre fazioni normali dei suoi compagni. Poi aveva assistito alla sfida nei 100: con un uragano di vento a favore, la novità Floyd, possente e fin troppo frequente, s’era dovuta difendere dal lunghista Lewis in un tempo non esaltante. Poi era toccato a Pietro: ma Mennea offriva una interpretazione strana, dissonante. Un avvio tranquillo, una curva meno penetrante del solito (quasi gomito a gomito con Caravani) e quando ti aspettavi dovesse distendersi, superbo, Pietro soffriva il ritorno di Williams, perfino, e chiudeva in 20”49, tempo sotto lo standard.”
Una curiosità: dopo il ritiro, Moses partecipò a una gara della Coppa del Mondo di bob a due a Winterburg, in Germania, insieme all’olimpionico americano Brian Shimer. Era il 1990 e, per non smentirsi, vinse la medaglia di bronzo. Noblesse oblige.